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“Il medico dovrebbe essere un prescrittore di parole”

15/04/2025
Paolo Borzacchiello ;

Paolo Borzacchiello, autore, coach e speaker italiano racconta la sua esperienza con la stomia per sensibilizzare sul tema, di cui si parla poco e, spesso, male.

 

Paolo Borzacchiello ha dedicato la sua vita allo studio delle dinamiche comunicative, sviluppando un approccio unico che combina neuroscienze, psicologia e tecniche linguistiche avanzate. Si definisce un appassionato di parole e di interazioni umane, in tutte le forme espressive. Sottolinea quanto sia importante capire come funzioni il cervello e come lavorare, attraverso le parole, affinché lo faccia al meglio.

 

Nel 2024, a causa di un tumore al colon retto, ha dovuto affrontare l’intervento per il confezionamento di una ileostomia e, ad aprile 2025, si è sottoposto ad un’altra operazione, quella di ricanalizzazione. Nell’intervista che ci ha concesso ci racconta la sua esperienza: ne esce fuori una testimonianza autentica, sofferta ma, che al tempo stesso ci restituisce l’importanza delle parole e di come la narrazione della malattia rappresenti il primo passo nel processo di guarigione.

 

Prima di affrontare l’intervento i professionisti sanitari hanno utilizzato le giuste parole per informarLa rispetto a quello che sarebbe stato il suo percorso con la stomia?  

Sì. Posso dire che i medici e gli infermieri che mi hanno preso in cura sono stati molto bravi, hanno saputo rassicurarmi, senza per questo edulcorare la situazione che stavo affrontando. Non ho mai trovato tante persone accoglienti quanto gli operatori sanitari dell’Oncologia di Brescia, che sono stati empatici e preparati, senza nascondermi niente, sono andati dritti al punto. La mia situazione è apparsa grave fin da subito: sono stato “travolto” dalla diagnosi. Prima mi hanno parlato di tumore al quarto stadio, poi al terzo, della necessità di asportare 23 linfonodi senza metastasi e di parte dell’intestino. Quando, a causa di una subocclusione intestinale e dell’impossibilità di poter effettuare un trattamento di radioterapia, mi hanno comunicato che avrebbero dovuto anticipare l’intervento, mi sono sentito male.

 

Cosa l’ha aiutata ad affrontare questa situazione?

In quel momento è stata davvero determinante la mia capacità di non accettare la narrazione tradizionale. Sono contro le etichette da sempre: penso che sia fondamentale saper raccontarsi le cose nel verso giusto. Per questo ho fatto un grande lavoro linguistico per affrontare e superare la situazione. La prima cosa che ho fatto è stata scrivermi la storia che avrei interpretato. E questo mi ha aiutato molto.

Devo dire che, tanto sono stato preparato su come sarebbe cambiata la mia vita con la stomia, quanto poco informato sull’intervento di ricanalizzazione. Il post-intervento è molto complicato, ho avuto delle pessime giornate, conseguenze che sto affrontando e di cui nessuno mi aveva parlato. Diciamo che al momento sono un po’ in balia delle situazioni e sto nuovamente “riassestando” il cervello per abituarmi. Forse, se fossi stato preparato con più dovizia di particolari, mi sarei potuto forse preparare meglio psicologicamente, ma lo sto facendo ora.

 

Ricorda quali sono state le Sue preoccupazioni prima di affrontare l’intervento? 

La prima reazione, del tutto irrazionale, quando mi hanno detto che dovevo affrontare l’intervento per il confezionamento della stomia è stata chiedermi: “Come farà mia figlia ad abbracciarmi?”. Ho una bambina piccola per la quale ero già preoccupato, perché mi aveva visto stare male e affrontare la chemioterapia. Poi, la verità, è che i bambini sanno sorprenderti: anche se ho cercato di proteggerla dalla situazione, è stata mia figlia a voler vedere la sacca. È stata più matura di tanti adulti che conosco. L’altra preoccupazione, ovviamente, è stata di tipo professionale. Con il lavoro che faccio affronto spesso viaggi con qualsiasi mezzo di trasporto. Mi sono chiesto: “E adesso come faccio a prendere treni, aerei, macchine, a tenere conferenze?”. La risposta, ovviamente, l’ho avuta sul campo: ho dovuto imparare a gestire la stomia, ad affrontare piccoli incidenti di percorso, che pure ci sono stati. Semmai sono più preoccupato adesso dopo l’intervento di ricanalizzazione, in cui sono in balia degli eventi. Ma ci sto lavorando.

 

Qual è stata la chiave per affrontare la vita con la stomia?

Per vivere con la stomia penso che la chiave sia stata ancora una volta nelle parole. Nel mio percorso di riabilitazione ho parlato con un gruppo di oncologi che hanno utilizzato le parole giuste per spiegarmi come affrontare le varie situazioni. Penso che il medico dovrebbe essere un prescrittore di parole: dovrebbe spiegare che utilizzare un termine piuttosto che un altro sia fondamentale nell’accettare la condizione, affrontarla e superarla. Ad esempio, io eliminerei l’utilizzo di parole come guerriero.  

 

È stato seguito da uno stomaterapista o un operatore sanitario di fiducia nella strada verso la riabilitazione?

Sì: sono stato seguito dagli stomaterapisti della Fondazione Poliambulanza di Brescia. Io provavo vergogna e, non posso negarlo, anche un senso di disgusto verso la stomia, che rifiutavo di guardare e toccare. Temevo che non avendo il controllo dell’ileostomia, potessero fuoriuscire effluenti durante la visita di controllo, il che era motivo di imbarazzo. Il fatto che gli stomaterapisti fossero così attenti, appassionati del loro lavoro, il modo naturale con cui si sono presi cura di me, nel cambiarmi la sacca, mi ha rassicurato e mi ha aiutato a gestire la mia nuova condizione.

 

Ci sono delle persone che desidera ringraziare?

Indubbiamente la mia oncologa, dottoressa Libertini: è sempre stata disponibile. Mi ha supportato 24 ore su 24, anche rispondendo di notte alle mie e-mail. Il rapporto medico-paziente che si è instaurato è stato fondamentale. Poi il Chirurgo del San Raffaele di Milano, professor Sileri, che mi ha operato. Infine, devo dire grazie a me stesso, al netto delle buone intenzioni. E poi tutte le persone che mi hanno fatto sentire il loro supporto.  

 

Lei conosce bene il valore delle parole. C’è qualcosa che vorrebbe dire ad altre persone che devono affrontare l’intervento, vivono quotidianamente con la stomia o sono state ricanalizzate?

Certamente. Non sono una di quelle persone che ringrazia la malattia per avermi fatto scoprire qualcosa di me: ne avrei fatto volentieri a meno. Avrei preferito conoscere questa realtà in maniera diversa, che so, attraverso un corso di formazione. Detto questo, con la stomia si può vivere bene. Io ho viaggiato, andavo in palestra: avevo riadattato il mio stile di vita alla nuova condizione. Sono stato a Disneyland: potevo mai privare mia figlia del regalo di compleanno? Ho saputo gestirmi, portare sempre con me l’occorrente per sostituire la sacca quando ero fuori casa. So che è dura e impegnativa, ma so anche che si può gestire. La paura è che non si sappia come fare; la certezza è che, se non sai come comportarti, c’è qualcuno che può insegnartelo. Il mio non è stato un caso fortunato, ho riscontrato tante complicanze; non è stato un percorso facile. Ho dovuto provare varie soluzioni prima di trovare quella più adatta a me, grazie al supporto degli infermieri che mi hanno assistito. Eppure, ce l’ho fatta.

 

C’è qualcosa che vorrebbe dire agli operatori sanitari?

Che il loro supporto è fondamentale e la loro preparazione contribuisce in maniera determinante al percorso di riabilitazione del paziente. A loro dico di non “assuefarsi” alla realtà lavorativa: sono convinto che l’abitudine sia il peggior nemico di un professionista. Quello che può essere scontato per me, non lo è per qualcun altro che si affaccia nel mio mondo per la prima volta. Le parole sono importanti e l’empatia è alla base del rapporto medico-paziente.   

Penso a quello che ho dovuto affrontare: è stato fondamentale l’intervento del chirurgo (e meno male che c’è stato!) ma mentre operava, io dormivo: che fosse empatico o meno, per me non è stato importante. Al contrario, lo è stata la relazione con gli operatori sanitari che mi hanno accompagnato nella strada verso la riabilitazione. Hanno saputo usare le parole giuste, che hanno un impatto chimico, fisico, psicologico. La parola è parte integrante della cura: è acclarato che contribuisce all’efficacia della terapia. Per questo dico a tutti gli operatori sanitari di investire nella propria formazione.

 

Potete seguire Paolo Borzacchiello sulle sue pagine social:

Instagram: https://www.instagram.com/paolo.borzacchiello/

Facebook: https://www.facebook.com/paoloborza

Sito web: https://hce.international/

 

 

A cura di:

Laura Meli, Responsabile Comunicazione Convatec Italia

Fabrizio Cupolino, Responsabile Marketing Digitale Convatec Italia

 

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